domenica 17 settembre 2023

Presentazione «Viviamo di una vita ricevuta», ecco la Proposta pastorale 2023-2024

 

Desidero piuttosto mettere in evidenza il principio fondamentale del vivere e il punto di partenza per le scelte alle quali la responsabilità di ciascuno non può sottrarsi… Credo che vivere la fede come amicizia, sequela, comunione con Gesù sia la condizione per riconoscere di vivere una vita ricevuta in dono e costituisca l’antidoto più necessario per resistere alla tentazione dell’individualismo radicale che, a mio parere, sta portando al suicidio della nostra civiltà».

Parole ferme, quelle usate da monsignor Mario Delpini nella Proposta pastorale per l’anno 2023-2024, dal titolo Viviamo di una vita ricevuta. Sentono però la responsabilità di essere originali e di avere una parola da dire a chi vuole ascoltare, un invito alla gioia».

Ecco in particolare i capitoli affrontati nel testo: «Con questo spirito incoraggio tutti a non rinunciare alla responsabilità della testimonianza, della proposta, dell’accompagnamento educativo sui temi che riguardano l’educazione affettiva, la preparazione al matrimonio religioso, l’accoglienza della vita, il lavoro, la pace, il tempo della terza età».

 

Vivere una vita ricevuta

L’io al centro è l’espressione di una consolidata egemonia culturale: «L’illusione dell’individualismo è di essere padroni e arbitri insindacabili della propria vita: ci si trova di fronte alle infinite possibilità offerte dalla situazione e si può scegliere la via da percorrere per giungere al compimento dei propri desideri. La vita è mia e ne faccio quello che voglio io».

Di fronte a questo il credente propone una diversa visione: «Il discorso di Gesù chiama alla fede e la fede non si riduce a una convinzione, ma è la relazione di cui viviamo: la vita, infatti, non si riduce a un fatto fisico di un organismo che funziona, ma è relazione che chiama a vivere, è dono, è grazia».

L’educazione affettiva

Un aspetto fondamentale della vita è la vocazione ad amare. La proposta educativa cristiana è chiamata ad offrire l’esemplarità di persone adulte, uomini e donne che sanno amare e accompagnare i ragazzi e le ragazze nell’imparare ad amare».

In concreto «è necessario offrire persuasivi percorsi educativi alla libertà autentica… per creare contesti di libertà che resistano alla “colonizzazione culturale” che impone la banalità dei luoghi comuni, la riduzione della relazione ai rapporti sessuali, la rassegnazione all’incontrollabilità dei sentimenti, delle passioni, delle pulsioni».

L’affettività è un tema tanto delicato nella vita di ciascuno: «Una particolare cura deve essere dedicata ad accompagnare e interpretare l’esperienza dell’amore e delle diverse sfumature dell’attrazione, sia verso persone di genere diverso sia verso persone dello stesso genere. Eppure è uno dei pilastri in un rapporto di amore: «Nei giorni lieti e nei giorni tribolati, nelle inevitabili prove che l’amore attraversa, nell’esperienza triste del peccato, l’amore fedele riceve la grazia di perdonare e di essere perdonato, di sperimentare il sacrificio e di rallegrarsi della pace, di chiedere e ricevere aiuto. Il contesto contemporaneo rende particolarmente problematico il tema delle fedeltà, della indissolubilità del matrimonio, del “per sempre” della consacrazione».

«L’enfasi sul “diritto a essere felice” che si rivendica come giustificazione a vivere la precarietà dei rapporti, riducendo gli altri ad essere “esperimenti” e le scelte ad essere “esperienze”, è una delle ragioni più diffuse dell’infelicità», sottolinea l’Arcivescovo, ricordando che le separazioni, in grande crescita, sono un dramma e creano ferite che rimangono per tutta la vita, in particolare per i figli.

Di fronte a questa realtà l’invito di monsignor Delpini è quello di sostenere l’impegno dei consultori, di associazioni familiari, delle proposte formative della Diocesi, in particolare a sostegno delle giovani coppie.

Il dono della vita

Il miracolo di una nuova vita è una grazia per i genitori. In un tempo di grandi trasformazioni tecnologiche associati a una crescente precarietà, l’Arcivescovo richiama tutti a un di più di responsabilità aprendosi con discernimento al nuovo che avanza: «Non basta esprimere giudizi, bisogna avere anche il coraggio di valorizzare e di incoraggiare quelle innovazioni tecniche e organizzative che consentono di rendere il lavoro più umano, più soddisfacente e generativo, per orientarne lo svolgimento verso la partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune. Occorre affrontare il tema con rigore affinché «anche il lavoro diventi un fattore di umanizzazione e una via per portare a compimento la propria vocazione e mettere a frutto i propri talenti».

A partire dagli imprenditori: «Un compito che può essere svolto in modo proficuo anzitutto dalle imprese, le quali devono giocare in modo responsabile il loro ruolo di soggetti autonomi e innovativi, chiamati a creare valore per la società anche in condizioni di equilibrio economico: se, infatti, la generazione di profitti, in un orizzonte di medio e lungo periodo, è un indicatore essenziale e necessario per ogni impresa sana ed efficiente, la creazione di valore per l’impresa e la sua sostenibilità economica non possono mai andare a discapito della dignità del lavoro di tutti coloro che ne rendono possibile l’attività e la stessa esistenza».

Per questo monsignor Delpini rilancia una proposta da sempre sostenuta dal sindacalismo di ispirazione cristiana: «Da qui l’urgenza di ricercare nuovi equilibri e nuove forme di cooperazione fra i diversi soggetti che formano e partecipano alle realtà delle imprese affinché il lavoro di tutti sia rispettato e riconosciuto».

Continua l’Arcivescovo: «è in corso un ridimensionamento del tempo dedicato al lavoro che vede gli aspetti personali e familiari sempre più parte integrante della qualità del lavoro stesso, con lavoratori sempre più imprenditori di se stessi e interessati non solo al giusto salario, ma anche allo scopo del lavoro, alla cultura del lavoro nell’azienda in cui operano. Ed è qui che il magistero della Chiesa può aiutare i lavoratori e gli imprenditori a ritrovare un senso integrale del lavoro, un senso in cui gli aspetti puramente economici si possano integrare con la ricerca di un valore più profondo del lavoro e con la generazione di valore sociale, ambientale e culturale».

Uno dei mali di questo tempo è il lavoro povero, fenomeno che l’Arcivescovo stigmatizza con parole forti: «Un tema oggi sempre più pressante, anche nella nostra Diocesi, è quello del lavoro povero, ovvero di quei lavoratori sempre più numerosi che, pur lavorando regolarmente, non riescono a raggiungere un reddito adeguato per sostenere se stessi e le loro famiglie. Cercano l’incontro con tutti, si propongono di stabilire rapporti di amicizia, di collaborazione, di rispetto reciproco con i popoli della terra».

I primi testimoni di questo impegno sono i missionari, dai quali si impara molto: «I missionari sono operatori di pace: imparano le lingue, si lasciano edificare dai valori e dalle culture che incontrano, si mettono a servizio della promozione e dello sviluppo dei popoli, offrono aiuti per vincere povertà e malattie, ingiustizie e discriminazioni.

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